Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

VENETO, OSPEDALI DA CHIUDERE:LEGA SPACCATA

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 VENEZIA — A tre mesi dalla sua nomina «fuori sacco», in quanto unico componente di giunta non eletto bensì scelto per una serie di calcoli politici, l’assessore alla Sanità Luca Coletto entra in rotta di collisione con il governatore, e collega di partito, Luca Zaia. Ma non perchè sia «un geometra a digiuno della materia che assorbe l’80% del bilancio regionale», come avvertivano gli ospedalieri della Cimo al momento dell’insediamento, quanto perchè fatica a districarsi tra le due anime del Carroccio che si combattono proprio sulle deleghe a lui affidate, quelle del potere reale. Coletto si trova sulla linea del doppio fuoco amico, tirato per la manica da Flavio Tosi, il vero deus ex machina della sanità veneta a cui deve la poltrona a Palazzo Balbi, e per la giacchetta dal governatore Luca Zaia, l’altro enfant prodige del «capo» Bossi. Motivo del contendere il sovraffollamento di ospedali nel Veronese, bacino elettorale del sindaco del capoluogo Tosi, pronto a dire addio a Isola della Scala quando la ristrutturazione post-incendio di Villafranca sarà completata (come dispone il Tar) ma contrario ad archiviare Malcesine e Bovolone. Centri che invece il presidente ha pubblicamente annunciato di voler mandare in pensione, nell’ottica di una razionalizzazione del sistema sempre più necessaria. A maggior ragione dopo la figuraccia del «rosso» di 110 milioni di euro nel budget della sanità — poi ridotto a 25 e coperto con una manovra di giunta—quest’anno costato al virtuoso Veneto il richiamo ufficiale da parte del governo.

Alla prima prova del nove l’inesperto Coletto è finito a gambe all’aria. Martedì, durante il consueto incontro con i giornalisti successivo ad ogni seduta di giunta, Zaia ha ribadito l’intenzione di operare una riorganizzazione della rete ospedaliera, partendo dalla chiusura di Isola della Scala, Malcesine e Bovolone. «Vero, assessore?», ha cercato poi l’appoggio di Coletto, che si è limitato al silenzio. Salvo, il giorno dopo, giocare su due tavoli. Prima il comunicato ufficiale: «Unanimità di vedute con il presidente Zaia nel non facile cammino di riorganizzazione complessiva della sanità veneta, in cui anche Verona dovrà fare la sua parte e la farà». Poi l’obbedienza a Tosi, con dichiarazioni all’Arena in cui l’assessore ritratta: «Sull’ospedale di Malcesine non è prevista alcuna chiusura. C’è stato solo un grande equivoco: tutto sta andando avanti secondo quanto avevamo concordato. E cioè l’attivazione di un accordo di collaborazione con il Trentino per un serio e concreto rilancio della struttura dell’alto Garda». Dunque, niente pensione ma addirittura rilancio. Quanto a Bovolone, Coletto ne garantisce la sopravvivenza, perchè «già da tempo non è più un ospedale per acuti ma integrativo della rete». E su Isola della Scala scandisce: «La sentenza del Tar lo lascia aperto finchè Villafranca non sarà a pieno regime». Una coltellata nella schiena per Zaia che, smentito su tutta la linea, ha reagito con una sonora strigliata al collega di partito, ieri costretto al dietrofront.

In un comunicato che si dice dettato direttamente dal governatore, l’assessore precisa di essere «in assoluta sintonia e di condividere appieno quanto annunciato dal presidente Luca Zaia». «In particolare— scrive Coletto—condivido la necessità di procedere ad un’ampia rivisitazione dell’organizzazione sanitaria e ospedaliera del Veneto, non ultima quella di Verona. Ciò potrà significare, ove necessario, anche di dover procedere a chiusure e accorpamenti. In ogni area in cui emergessero delle criticità bisognerà trovare soluzioni in grado di conciliare le esigenze dei cittadini con quelle della sostenibilità di un sistema sanitario d’eccellenza, che altrimenti porremmo a rischio. Chiedo a tutti di non apprestarsi a battaglie localistiche preconcette ». Una toppa che durerà fino alla prossima tirata d’orecchi, stavolta di Tosi, perchè il minuetto di Coletto fuori e dentro il tritacarne amico andrà avanti finchè presidente e sindaco non si metteranno d’accordo sui temi cruciali della sanità (in teoria affidata al potente primo cittadino di Verona nella spartizione dei poteri tra i cavalli di razza del Carroccio). A partire dall’eccesso di offerta ospedaliera nell’area veronese, affollata da dodici presìdi: l’Azienda ospedaliera universitaria integrata del capoluogo, a due braccia; San Bonifacio (Usl 20); nell’Usl 21 i poli di Legnago e Bovolone (50 letti di lungodegenza, Medicina generale, due letti di terapia subintensiva, punto di Primo soccorso con medico h24, ambulatori specialistici), più la riabilitazione di Zevio (gestione mista pubblico-privato); e il caos dell’Usl 22. Ricca dei quattro nosocomi pubblici di Bussolengo, Malcesine, Villafranca e Isola della Scala, affiancati dal ridimensionato Caprino (con Psichiatria, ospedale di comunità, ambulatori e Utap, cioè unità di assistenza territoriale), dal religioso parificato «Sacro Cuore » di Negrar e dalla clinica convenzionata «Pederzoli» di Peschiera.

Il piano Tosi prevede di chiudere a Caprino la Psichiatria e, come detto, di mantenere Bovolone e Malcesine. Quest’ultimo dal 2007 è stato indicato come centro nazionale di riferimento per lo studio e la cura degli esiti della poliomelite dal ministero della Salute, che grazie al predecessore di Coletto, Sandro Sandri, altro uomo di Tosi, ha deciso di cofinanziare con 523 mila euro da elargire in due anni. Difficile dunque archiviare un polo di livello nazionale. E comunque per chiudere qualsiasi complesso è necessario modificare le schede ospedaliere, con una delibera di giunta che deve passare in commissione Sanità per osservazioni ed eventuali modifiche e poi tornare all’esecutivo di Palazzo Balbi. In quel caso che farà il povero Coletto? Cosa voterà? La chiusura degli ospedali veronesi voluta da Zaia o la sopravvivenza imposta da Tosi? Nel dubbio, s’insinua il Pd, con l’interpellanza del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Bonfante, che chiede al governatore se «non condividendo in pieno le dichiarazioni dell’assessore non intenda revocargli la delega».

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