Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Ottanta giorni per una ecografia, troppa l’attesa nella sanità pubblica: chi può va dai privati, gli altri non si curano

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Un servizio pubblicato da La Stampa lancia l’allarme. Vi si sottolinea come esista un divario enorme tra chi può permettersi un’alternativa e chi no. I numeri del Censis.

 

 

 

Nella sanità italiana sta diventando sempre di più una questione di soldi. Per avere un’assistenza rapida bisogna spesso rivolgersi al settore privato e pagare. Chi non lo può fare deve rassegnarsi e spesso rinunciare alle cure. Attendere che tutto si risolva per il meglio.

 

E’ quanto emerge dalla lettura del dossier pubblicato oggi da La Stampa a firma di Flavia Amabile, dove si sottolinea come esista un divario enorme tra chi può permettersi un’alternativa e chi no. Interessanti i numeri forniti dal Censis e ripresi dal quotidiano. Sarebbero infatti 31,6 milioni gli italiani che in qualche modo si sarebbero trovati coinvolti nel meccanismo. Anche se esisterebbero differenze notevoli tra le varie aree geografiche. Sarebbe accaduto infatti di dover affrontare il calvario di una lunga attesa nelle liste della sanità pubblica, o di doversi rivolgere in alternativa a un privato, al “72,9% dei residenti al Sud-Isole, al 68,9% dei residenti al Centro, al 54,3% al Nord-Est ed al 50,8% al Nord-Ovest”. Senza contare che sarebbe accaduto anche al “64,7% dei non autosufficienti ed al 72,6% delle famiglie con figli fino a 3 anni”.

 

67 giorni per una visita cardiologica

 

 

 

Sempre seguendo i vari aspetti del fenomeno si apprende che – avendo bisogno di visite specialistiche – “il 52% degli italiani dichiara di avere optato per uno specialista privato a causa dell’attesa troppo lunga” nel servizio pubblico. I dati che seguono fanno capire poi perché ciò succede. Sarebbero “67 i giorni di attesa media per una visita cardiologica. 51 giorni nel Nord-Est e 79 nel Centro Italia”. Tempi lunghissimi che indurrebbero chi se lo può permettere a fuggire dalla sanità pubblica per rivolgersi al settore privato.

 

E non sarebbe diverso per altre esigenze. Si parlerebbe infatti di una media di 47 giorni (32 nel Nord Est e fino a 72 al Centro) per una visita ginecologica. Di 87 giorni per una visita oculistica (74 giorni al Sud-Isole e di 104 giorni, più di tre mesi, al Nord-Est), di 66 giorni per una visita ortopedica (53 giorni al Nord-Ovest e 77 nell’area Sud-Isole), di 93 giorni per una colonscopia (50 giorni al Nord-Est e 109 giorni al Centro).

 

E ancora: per una mammografia servirebbe una media di 122 giorni (un minimo di 89 giorni al Nord-Ovest e un massimo di 142 giorni al Sud), per un’ecografia 62 giorni (42 giorni al Nord-Ovest e 81 al Centro), per una risonanza magnetica 80 giorni (50 giorni al Nord-Ovest a 111 al Sud).

 

Fenomeno in peggioramento

 

E il problema non sembra in via di miglioramento, anzi sembra peggiorare – spiega La Stampa – come sarebbe dimostrato dai dati del Censis. Tanto che l’allarme è stato lanciato anche da  Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato. Secondo le segnalazioni ricevute nel 2016 dall’organizzazione “per gli interventi chirurgici, le aree specialistiche più interessate da ritardi sono quella ortopedica (30,7% nel 2015, 28,4% nel 2016), di chirurgia generale (9,8% nel 2015, 14,3% nel 2016) e persino l’area oncologica che dovrebbe essere invece particolarmente urgente (13,1% nel 2015, 12,6% nel 2016)”.

 

L’inevitabile ricorso alle scorciatoie

 

Ovviamente poi la situazione comporta il proliferare di “soluzioni particolari”, di scorciatoie. Stando a una ricerca del Censis “nel 2016 13,5 milioni di italiani avrebbero saltato la lista di attesa ricorrendo a conoscenze, amicizie, raccomandazioni oppure facendo regali”. Un mulinello torbido che crea per altro ingiustizie palesi. Tanto che il Rapporto “Curiamo la corruzione” curato da Transparency International Italia, Censis, ISPE Sanità e RiSSC, confermerebbe che “la gestione delle liste di attesa è tra le aree dove maggiore è il rischio di corruzione in sanità”. E questo alimenterebbe un “gorgo di difficoltà e disuguaglianze che risucchia milioni di persone e che, ad oggi, è troppo poco compreso”, fa notare il Censis e ribadisce La Stampa. Anche perché nel frattempo nel nostro Paese è aumentata la povertà.

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