Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Ospedali, sfida piani di rientro

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Con l’obiettivo di far emergere un punto di vista autorevole e specifico del management, la Fiaso (Federazione italiana delle Aziende sanitarie e ospedaliere) ha sempre offerto un contributo decisivo alle sfide poste dal «Patto della salute» in poi sui temi della sostenibilità del sistema e della diffusione di buone pratiche di governo e gestione delle Aziende sanitarie in tutto l’Ssn.
Il ruolo proprio del management comporta di non poter sottovalutare le richieste di efficientamento che quotidianamente cittadini e politica richiedono al sistema, pur in presenza di un blocco di fatto della crescita del fondo nazionale.

Come spesso evidenziato, non si può fare a meno di sottolineare il ruolo essenziale che in questo periodo le Aziende hanno rivestito per la sostenibilità quali-quantitativa del sistema. L’innovazione organizzativa è stata introdotta affrontando anche spinosi problemi come quello della gestione delle risorse umane, tra vincoli normativi e miglioramento dei servizi, o della diffusione della centralizzazione degli acquisti, con presidio sulla qualità.

Allo stesso tempo, però, il tema della sostenibilità e dell’efficientamento del sistema non può diventare un rozzo strumento che nasconde tagli orizzontali. Piuttosto deve essere radicato in innovazioni organizzative, tecnologiche e di “presa in carico” necessariamente accompagnate da politiche sanitarie che permettano al sistema di mantenere il proprio assetto pubblico, universalistico e di qualità.

Fiaso ha, quindi, colto immediatamente l’opportunità offerta dalla scelta governativa di sottoporre le Aziende ospedaliere in difficoltà a piani di rientro economico e/o assistenziale mettendo in campo tutte le competenze e know how sviluppate in questi anni nelle Aziende per ottenere il massimo dei risultati possibili.
Quale mappa delle aziende in rosso?
In base ai dati di bilancio (modelli Ce consuntivi), solo 23 delle 106 Aziende ospedaliere (intese in senso lato, ossia comprendendo anche le Aziende ospedaliero-universitarie e gli Irccs pubblici) hanno chiuso l’esercizio 2014 con perdite superiori ai 10 milioni di euro e altre 8 con perdite contenute entro i 10 milioni; le altre 75 sono tutte in equilibrio.

Perché, allora, introdurre i piani di efficientamento aziendali? E perché, almeno secondo quanto indicato nei documenti di accompagnamento alla versione iniziale del decreto, sarebbero addirittura 53 le Aziende da sottoporre potenzialmente a tali piani? La domanda non poteva non interessare in primo luogo la Fiaso, anche perché il decreto, seppur con successive limature che ribadiscono la rilevanza del livello regionale, presuppone una diretta interlocuzione tra il governo centrale e le Aziende.

Fiaso ha quindi avviato un apposito gruppo di lavoro, con la partecipazione di Cerismas e di alcune Ao che, presumibilmente assoggettate ai piani, si sono subito messe in gioco: SS. Paolo e Carlo di Milano, S. Camillo Forlanini di Roma, Cardarelli e Santobono Pausilipon di Napoli, Civico di Palermo. In prospettiva, il gruppo di lavoro vorrebbe evolvere in un Laboratorio che faciliti e sostenga il processo di efficientamento attraverso un benchmarking interaziendale su risultanze contabili, azioni pianificate e loro effettiva attuazione.

Alle 53 Aziende si arriva in parte perché, al di là dell’equilibrio economico, c’è un problema di qualità dell’assistenza garantita. Questo aspetto è trattato nell’allegato B del decreto, che fa riferimento ai dati del Programma nazionale Esiti.
Quel gap tra 940 mln e 3 mld
Esiste, però, anche un problema di effettivo equilibrio tra valore e costo della produzione aziendale, che i bilanci non rappresentano in modo adeguato. Se si sommano algebricamente i risultati d’esercizio 2014 di tutte le Ao, come presentati nei modelli Ce, si ottiene una perdita netta cumulata di circa 940 milioni di euro. Il medesimo dato, ricalcolato con i criteri del decreto (allegato A), è pari a 3.070 milioni. Cosa spiega questa differenza?

Il decreto, innanzi tutto, intendendo valutare l’equilibrio “strutturale” delle Aziende, esclude costi e proventi di natura straordinaria. Per alcune Aziende, tali componenti hanno un impatto significativo, ma complessivamente la loro esclusione migliora la performance economica delle Ao di 58 milioni.

Il decreto esclude, inoltre, l’impatto della regola contabile per cui i cespiti finanziati con risorse aziendali (cioè senza una fonte specifica di finanziamento) vanno ammortizzati al 100% nell’esercizio di acquisizione. Tale regola, infatti, vuole evitare l’accumulo di debiti verso fornitori di cespiti, ma è chiaramente in contrasto con il principio di competenza economica.
Questa esclusione migliora i risultati complessivi di altri 300 milioni. La differenza diventa, invece, negativa per effetto della scelta, contenuta nel decreto, di ”normalizzare” i ricavi.
La regionalizzazione del Ssn, infatti, ha portato a forti differenziazioni nei sistemi di finanziamento delle Aziende che, se non adeguatamente considerati, impediscono confronti omogenei tra le Aziende non solo di Regioni diverse, ma anche della medesima regione.
Stessa prestazione tariffe diverse
Tali differenziazioni si riflettono, innanzi tutto, nel sistema tariffario. A fronte della medesima prestazione, le tariffe regionali sono diverse, nonché spesso differenziate per tipologia di erogatore. La scelta del decreto di rideterminare il valore dei ricoveri a tariffe nazionali, uniformi per tutti, porta a una riduzione complessiva dei ricavi delle Ao (e conseguentemente dei loro risultati economici) di circa 497 milioni.

C’è, inoltre, una significativa quota di finanziamenti che le Ao ricevono come contributi in conto esercizio dalla Regione, cioè senza una diretta correlazione con il numero e la tipologia di prestazioni erogate. Tali contributi sono, in parte, il riconoscimento dei costi sostenuti dalle Aziende per lo svolgimento di “funzioni non tariffabili” (per esempio, la gestione di pronto soccorso e Dea), ma per altra parte rappresentano una vera e propria copertura di perdite in corso di formazione.

Come emerso chiaramente negli incontri del gruppo di lavoro, la distinzione tra queste due tipologie di contributi è spesso opaca; mancano inoltre sia una classificazione condivisa delle “funzioni non tariffabili” sia una quantificazione attendibile dei relativi costi.
Risultati d’esercizio poco significativi
È proprio l’incapacità di distinguere tra queste due tipologie di contributi che rende poco significativi i risultati di esercizio riportati in bilancio.

Banalizzando, ci sono Aziende che conseguono l’equilibrio “con le proprie forze” (ossia ottenendo finanziamenti regionali commisurati ai servizi erogati) e altre che ci arrivano “con aiuti aggiuntivi” (ossia ottenendo finanziamenti regionali sovradimensionati rispetto ai servizi erogati), ma i dati di bilancio non consentono di distinguere le due fattispecie, né esistono in merito informazioni affidabili.

Nell’immediato, il decreto affronta la questione quantificando forfettariamente il finanziamento “ammissibile” per le “funzioni” in un importo pari al 30% dei ricavi complessivi e considerando l’eventuale eccedenza come una copertura di perdite in corso di formazione.
È chiaro però che, in prospettiva, una quota così significativa dell’attività aziendale dovrà essere quantificata e valorizzata in modo molto più analitico. Questa prospettiva è peraltro già presente nel testo del decreto, che richiama il ruolo della “Commissione permanente tariffe” nel definire i criteri generali per l’individuazione della remunerazione delle funzioni assistenziali e delle classi tariffarie.
Anche su questo tema, il gruppo di lavoro Fiaso potrà dare un significativo contributo. Nell’immediato, si può rilevare che il 30% dei ricavi complessivi è significativamente inferiore (di circa 1.991 milioni) ai contributi in conto esercizio attualmente assegnati alle Ao ed è questa eccedenza che da sola spiega quasi completamente lo scostamento tra risultati d’esercizio da Ce e da Decreto.

Oltre a sviluppare la metodologia per individuare le Aziende da assoggettare ai piani di efficientamento, il decreto fornisce indicazioni sul contenuto dei piani stessi e sugli obiettivi minimi che questi devono perseguire in termini di “rientro” economico finanziario.
I turnaround plan delle aziende
Le Aziende devono, dunque, predisporre e implementare dei veri e propri turnaround plan. Per il management aziendale, si tratta di una sfida impegnativa, ma da molti auspicata.

Si torna, infatti, a ribadire il ruolo centrale delle Aziende e dei loro manager, dopo un periodo in cui l’attenzione si era unicamente focalizzata sugli equilibri complessivi regionali.
E, coerentemente, i piani di efficientamento dovrebbero essere costruiti a partire dalle specifiche condizioni di ciascuna Azienda, superando la logica dei “tagli lineari” e delle soluzioni “uniformi”.
A ciascuna Azienda verrà quindi richiesto di analizzare le determinanti del proprio squilibrio economico, in termini sia di proventi sia di costi. L’attenzione ai proventi e, più in generale, alla capacità di utilizzare al meglio la propria capacità produttiva per l’erogazione dei servizi, è uno degli aspetti che i Piani di rientro regionali sembrano aver maggiormente trascurato, privilegiando la logica del contenimento dei costi.
Anche per questo motivo, probabilmente, i dati 2014 (che, si precisa, non sono però quelli che saranno utilizzati per l’attuazione del decreto, che farà invece riferimento ai dati 2015, non ancora resi pubblici) segnalano che la maggior parte delle Ao localizzate nelle Regioni in Piano di rientro dovrebbe essere assoggettata anche ai piani di efficientamento aziendali.
A ulteriore conferma della scarsa attenzione verso i ricavi, le attività del gruppo di lavoro Fiaso hanno fatto emergere come, in molte Regioni, esistano prestazioni potenzialmente tariffabili (per esempio, le prestazioni ambulatoriali erogate a pazienti provenienti dal pronto soccorso e non ricoverati, oppure le prestazioni erogate in regime di Osservazione breve intensiva), ma che i sistemi aziendali e regionali non rilevano adeguatamente, perché la loro quantificazione non produrrebbe conseguenze in termini di finanziamento e nemmeno di valutazione delle performance.
Auspicabilmente, l’enfasi posta dal decreto sui ricavi da prestazioni indurrà le Aziende sia a incrementare la propria produttività, sia a evidenziare eventuali inadeguatezze dei tariffari nazionali e dei sistemi di finanziamento regionali nel riconoscere alcune prestazioni (esempio: somministrazione di farmaci o utilizzo di dispositivi ad alto costo…) o alcuni ambiti di attività (esempio: la peculiarità dei ricoveri pediatrici, la copertura dei costi di didattica e ricerca).
La criticità dei costi del personale
Chiaramente, però, lavorare sui ricavi non sarà sufficiente e occorrerà agire anche sul versante dei costi.
Al riguardo, i dati 2014 confermano la criticità del costo del personale, che ha un’incidenza mediana del 54 per cento sui ricavi da prestazioni e per funzioni (come ricalcolati in base al decreto), con variabilità amplissima e casi estremi che superano addirittura il 100% (casi, cioè, in cui il costo del personale eccede da solo l’intero valore della produzione aziendale) (figure 2 e 3).
Proprio sul personale si sono quindi concentrate le riflessioni e gli approfondimenti del gruppo di lavoro Fiaso, evidenziando la presenza di dipendenti non utilizzati per le attività core, con alte percentuali di inidoneità o idoneità parziale al lavoro, con permessi speciali (cd ex legge 104) ed elevata anzianità anagrafica e di servizio.
C’è dunque bisogno di intervenire sul numero dei dipendenti, ma anche sui loro profili professionali e sulla loro produttività, nonché, laddove si aprisse l’opportunità di nuove assunzioni, sulla volontà, capacità e possibilità di selezionare le persone più adeguate.
Scarsa funzionalità delle strutture
Il gruppo di lavoro ha inoltre evidenziato come, in alcuni casi, i costi elevati siano associabili alla scarsa funzionalità delle strutture (per esempio, distribuzione in padiglioni o collocazione in edifici vetusti e inadeguati).
Si tratta di un problema annoso, ma aggravato negli ultimi tempi dalle politiche di contenimento della spesa, che hanno penalizzato in modo particolare gli investimenti. Tra l’altro, l’impossibilità di adeguare pienamente le strutture e gli impianti alle normative vigenti pone il management aziendale in una perenne condizione di rischio, anche in termini di responsabilità personali.
Infine, nel gruppo è emerso con chiarezza che le condizioni di squilibrio di molte Ao riflettono anche lo svolgimento di un ruolo di “supplenza” rispetto alle funzioni territoriali, che in alcune regioni sono particolarmente deboli.
Questo comporta, per esempio, la saturazione dei posti letto con casistica che potrebbe essere più appropriatamente assistita in regime ambulatoriale o domiciliare, nonché la presenza di dotazioni organiche sovra-dimensionate rispetto agli standard dell’attività prettamente ospedaliera.
Il necessario supporto al management
Le tre criticità citate (personale, investimenti, funzioni territoriali), peraltro, ben chiariscono l’impossibilità per il management aziendale di conseguire il “rientro” senza un adeguato supporto del livello regionale come di quello centrale.
Gli interventi contenuti nei piani di efficientamento dovranno quindi essere modulati su tre livelli: interventi di esclusiva competenza manageriale; interventi in cui la decisione manageriale deve basarsi e trovare forte sostegno in accordi regionali; interventi che spettano direttamente al livello regionale o a quello nazionale.
Questa modulazione contribuirebbe anche a meglio distinguere tra due diverse responsabilità manageriali: da un lato, affrontare e risolvere autonomamente alcune problematiche, dall’altro evidenziare quelle criticità che sono specifiche dell’Azienda (e quindi solo il management conosce adeguatamente), sono innegabili (e quindi richiedono di essere affrontate, a prescindere dalle responsabilità di chi le ha generate), ma possono essere risolte solo con il contributo dei diversi livelli istituzionali.

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