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Meno condanne della Ue all’Italia ma resta quarta per ricorsi

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Diminuiscono le condanne dell’Italia a Strasburgo. Il 2015 è stato un anno in parte positivo, guardando i numeri, con una diminuzione delle sentenze targate Italia, che da 44 del 2014 diventano 24 (20 le condanne). Crollo anche dei ricorsi dichiarati irricevibili che da 9.625 nel 2014 arrivano a 4.438 nel 2015, segno della migliore conoscenza italiana dei meccanismi della Corte europea. È quanto risulta dalla relazione annuale relativa all’anno 2015 presentata ieri a Strasburgo dal Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Guido Raimondi.
Guido Raimondi
In via generale, per Strasburgo, il 2015 sarà ricordato come un anno con il segno più, vista la diminuzione continua dell’arretrato che passa da 69.900 ricorsi pendenti a 64.850 (-7%), con un numero di procedimenti chiusi che supera l’entrata di nuovi casi. L’Italia resta però quarta assoluta con 7.567 ricorsi pari, in percentuale, all’11,69% del totale. Ed è l’unico Paese Ue tra i primi quattro, preceduta dall’Ucraina (13.832), dalla Russia (9.207) e dalla Turchia (8.446).

Il podio per il numero di condanne è conquistato dalla Russia (109 su 116 sentenze), seguita dalla Turchia (79 su 87). Dal 1959 al 2015 la Turchia risulta in vetta con 2.812 condanne, seguita dall’Italia a quota 1.780 e dalla Russia (1.612).

La Corte ha migliorato gli standard di efficienza: nel 2015 i ricorsi comunicati agli Stati sono stati 15.965 a fronte dei 7.895 nel 2014 (+102%). Le sentenze sono state 823 in diminuzione dell’8% rispetto all’anno passato (891). Un dato che va letto nel complesso perché molte cause sono state riunite: il numero effettivo è, quindi, di 2.441 contro le 2.388 del 2014.
Sotto il profilo della qualità, la Corte ha messo in primo piano le questioni più importanti che al 31 dicembre 2015 erano 11.490. Il numero di ricorsi prioritari è aumentato del 10% e quelli dichiarati irricevibili sono scesi del 35%. Resta il problema dei ricorsi seriali che ammontano a 30.500. Sul punto, indispensabile il contributo degli Stati che devono rispettare la Convenzione e applicarla correttamente sul piano interno tenendo conto della giurisprudenza della Corte. Strasburgo – ha detto il Presidente Guido Raimondi – dispone degli strumenti tecnici necessari per arrivare a una diminuzione degli affari seriali, ma questo dipende «anche dalla capacità degli Stati convenuti nel trattare questi casi».
Per quanto riguarda il contenuto delle sentenze e delle violazioni accertate, nel complesso, nel 2015, sempre in primo piano la violazione dell’equo processo (24.18%). Allarmante che ben il 23% dei casi abbia riguardato la violazione dell’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. Segue la violazione del diritto alla libertà personale (15,63%).
Arriva anche a Strasburgo il dramma dei migranti con 24 domande di misure provvisorie di profughi che hanno chiesto di non essere riportati in Ungheria.

Tra i casi più significativi con al centro l’Italia, la sentenza Cestaro del 7 aprile 2015, sui fatti del G8 di Genova, in cui la Corte ha evidenziato la violazione del divieto di tortura da parte dell’Italia per gli attacchi ad alcuni manifestanti e ha chiesto all’Italia l’adozione di una legge che punisca in modo effettivo i reati di tortura. L’inerzia del legislatore italiano è stata colpita anche sui diritti delle coppie dello stesso sesso – di qui l’attuale scontro al calor bianco in Parlamento -, con una condanna pronunciata il 21 luglio 2015 nel caso Oliari e altri contro Italia. Per la Corte europea, la mancata adozione di una regolamentazione sulle unioni civili per il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso è una violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Anche in questo caso, la Corte ha chiamato in causa il legislatore chiedendo di adottare una normativa conforme alla Convenzione e questo anche per evitare inevitabili ricorsi seriali a Strasburgo.

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