Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

L’Italia arranca nel consumo di farmaci equivalenti

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(Panoramasanitá) – Se in questi 20 anni ed oltre, il farmaco equivalente ha gradualmente visto aumentare le sue prescrizioni da parte dei medici e l’utilizzo da parte dei pazienti, resta evidente che il nostro rimane uno degli ultimi paesi d’Europa per uso dei farmaci equivalenti: mentre in Inghilterra e in Germania la percentuale d’impiego si avvicina al 70 per cento, in Italia a fine 2015 è appena superiore al 26 per cento del totale dei farmaci di ‘fascia A’, ma nonostante questo il livello di interesse e quindi di impiego di questa categoria di farmaci resta ancora basso.

 

Causa principale la diffidenza di medici e pazienti e un’informazione ancora troppo scarsa se non addirittura ‘distorta’. Del tema si è parlato mercoledì 28 febbraio a Bari, nel convegno su “I medici nel futuro, tra farmaci equivalenti e biosimilari.

 

La grande sfida per garantire qualità, efficacia e sostenibilità”. «Questo ritardo italiano – spiega Achille Caputi, professore di Farmacologia dell’Università degli Studi di Messina, già Presidente della Società Italiana di Farmacologia – è dovuto ad una percezione non sempre positiva da parte dei medici e dei pazienti, causata a sua volta da un’informazione molto spesso superficiale e in alcuni casi distorta, che ha condizionato la classe medica e l’opinione pubblica».

 

Gli ultimi dati forniti dall’Associazione Nazionale Industrie Farmaci Generici e Biosimilari (Assogenerici), ha evidenziato che l’analisi dei consumi per aree geografiche conferma un robusto ricorso agli equivalenti nel Nord Italia (Piemonte, Lombardia e Veneto in prima fila), dove hanno rappresentato, nei primi nove mesi del 2017, il 35,2 per cento del mercato a unità e il 24,5 per cento a valori, a fronte di una media Italia rispettivamente del 28,3 e 19,9 per cento; consumi decisamente inferiori al Centro (25,9 per cento a unità e 18,4 per cento a valori) e al Sud (20,8 per cento a unità e 14,6 per cento a valori).

 

Risaluta essere fanalino di coda la Basilicata con una quota di equivalenti del 18,8 per cento.

 

 

I farmaci biotecnologici rappresentano una delle novità terapeutiche più rilevanti di questi anni sia per il loro impatto sulla terapia di molte patologie, sia perché hanno aperto nuove strade per interventi farmacologici innovativi.

 

«I farmaci biotech nascono da ingegneria genetica e tecnologia innovativa in grado di ‘ricombinare’ le molecole e i biosimilari potrebbero essere definiti i loro farmaci generici – spiega Giorgio Colombo, professore di Farmacoeconomia dell’Università degli studi di Pavia –, dopo la scadenza del brevetto, infatti, qualsiasi azienda può copiarli, produrli e venderli, e può farlo a un prezzo considerevolmente più basso poiché non deve sostenere spese di ricerca e sviluppo.

 

Il loro impiego permette un notevole risparmio di risorse pubbliche». Medici e pazienti tuttavia sono diffidenti nei confronti dei nuovi player che appaiono sul mercato quando il brevetto di un farmaco scade.

 

 

«Non bisogna fare lo stesso errore che è stato fatto con i farmaci generici, ovvero quello di pensare che il mercato, per così dire, ‘si faccia da sé’ – ammette il professor Colombo – Bisogna diffondere la consapevolezza che i biosimilari non sono farmaci di serie B, bensì un armamentario terapeutico equivalente a quello dei biotech, in grado di migliorare la sostenibilità del sistema sanitario». Eppure, proprio sull’impiego di questi farmaci, nel nostro Paese esistono ancora molte disparità a livello regionale.

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