Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Sempre meno servizi e investimenti soprattutto in sanità

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La spesa per la sanità è pari al 6,7% del Pil e,secondo gli andamenti tendenziali delineati nella Nota di Aggiornamento del Def 2017, è destinata negli anni 2018/2020 ad un ulteriore ridimensionamento, fino ad assestarsi al 6,3% del Pil entro il 2020. L’incidenza della spesa sanitaria italiana è ormai superiore nell’area euro solo a Polonia, Spagna, Grecia e Portogallo.

Dallo studio effettuato dall’Ires, per conto della Cgil, presentato ieri a Roma, si evince anzitutto la progressiva riduzione delle spese finali da parte delle Regioni, innescata sia dalle manovre finanziarie tese alla riduzione del debito e al raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica, sia dagli effetti della crisi economica, dell’1,5% circa tra gli anni 2009-2015.

 

“Il calo di questi sei anni” spiegano Cgil e Ires “non ha riguardato tuttavia la spesa corrente, i cui impegni nel 2015 superavano del 3,1% quelli del 2009, ma la spesa per gli investimenti diretti, che è crollata del 32% nello stesso periodo.

 

Queste dinamiche segnalano il ridimensionamento delle già compromesse capacità di investimento di un sistema economico provato dalla crisi, ma anche la difficoltà delle Regioni di sostenere interventi anti-crisi e di realizzare le infrastrutture più qualificate.

 

Dalla lettura dei bilanci, infatti, emerge come il risparmio accumulato sia stato impiegato prevalentemente per le operazioni di rientro dal debito e non per il finanziamento degli investimenti diretti (3,2 miliardi in meno tra il 2014 e il 2016).

 

I dati del 2016 mostrano per la prima volta un leggero calo anche della spesa corrente, determinato dalla riduzione degli impegni di alcune grandi Regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia e Sicilia).

 

Emergono, tuttavia alcune Regioni che hanno mantenuto livelli di spesa sistematicamente più bassi nel corso degli ultimi sei anni (Lombardia, Veneto, Marche e Puglia) ed altre sistematicamente più alti (Abruzzo, Molise, Basilicata). Per quanto riguarda le Regioni italiane” proseguono Ires e Cgil, “il risultato di queste dinamiche è stato anche un processo di “sanitarizzazione” della spesa corrente delle Regioni a statuto ordinario: l’incidenza della componente sanitaria sulla spesa corrente è passata in questo gruppo di regioni dal 79,5% del 2009 all’83,3% del 2015, con punte molto alte in Veneto (88,6%), Toscana (87,3%) ed Emilia-Romagna (86,3%).

 

La rimanente quota di spesa corrente libera da sanità si concentra in pochi settori, in particolare Trasporti e Organi istituzionali, che in alcune Regioni, come Sicilia e FVG, incidono con percentuali molto rilevanti, determinando preoccupanti sotto-dotazioni in altri capitoli, se si considera che l’ente Regione sta diventando un gestore diretto di numerose funzioni trasferite dalle Province.

 

Le criticità principali sembrano riguardare le politiche sociali, che assorbono meno del 2% della spesa corrente nella maggior parte delle Regioni a statuto ordinario.

 

Per quanto concerne le politiche tributarie, alcune Regioni, soprattutto quelle in Piano di rientro, hanno aumentato la pressione fiscale, in particolare attraverso la rimodulazione dell’addizionale regionale all’Irpef, che, per esempio, dal 2012 al 2018, è passata per i redditi medi dall’1,53% al 2,13% in Piemonte, dall’1,73% al 2,73% nel Lazio e dall’1,23% all’1,81% in Liguria”.

 

Nel rapporto particolare attenzione è stata rivolta alla spesa corrente per la sanità “che è rimasta” sottolineano Ires e Cgil “praticamente stabile nel 2012-2014 (105,3 miliardi), riprendendo a crescere nel 2015-2016, con un incremento complessivo solo del 2,7% registrato nel 2012-2016.

 

Nello stesso periodo, però, le Regioni hanno ridotto le risorse aggiuntive per il finanziamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e quindi la spesa complessiva per la sanità in questo periodo è scesa da 118,1 miliardi a 117,9 miliardi.

 

La spesa per la sanità è pari al 6,7% del Pil e, secondo gli andamenti tendenziali delineati nella Nota di Aggiornamento del Def 2017, è destinata negli anni 2018/2020 ad un ulteriore ridimensionamento, fino ad assestarsi al 6,3% del Pil entro il 2020.

 

L’incidenza della spesa sanitaria italiana è ormai superiore nell’area euro solo a Polonia, Spagna, Grecia e Portogallo.

 

Esaminando la spesa pro capite per la sanità (1.858 euro in Italia nel 2016) i divari con le principali economie europee sono notevoli, visto che la spesa sanitaria pubblica pro capite in Francia è pari a 2.840 euro e quella tedesca si eleva fino a 3.511 euro.

 

A conferma delle difficoltà mostrate dalle Regioni con più gravi problemi di indebitamento nella sanità, si può notare come il disavanzo di amministrazione rilevato sia più alto proprio tra le realtà in piano di rientro rispetto a quelle che non si trovano in tale condizione.

 

Nel 2016, disavanzi sostanziali più consistenti sono quelli di Piemonte (-7,6 miliardi), Lazio (-9,7) e Sicilia (-6,1). In riferimento al quadro normativo sulla finanza locale, esso appare ancora incompleto e incerto per quanto riguarda le doppie regole in tema di bilancio dettate dal D.lgs. 118/2011 (normativa contabile) e dalla legge 243/2012 (pareggio di bilancio), che disciplinano in modo diverso l’utilizzo del risultato di amministrazione in caso di avanzo.

 

Accanto alle criticità collegate alle responsabilità delle Amministrazioni regionali hanno agito però” precisano Cgil e Ires “anche alcune cause esterne, da ricondursi in particolare allo storico sottofinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale, al basso livello di autonomia tributaria di cui godono le regioni ordinarie, al parziale cedimento delle basi imponibili delle entrate tributarie verificatosi negli anni di crisi più acuta, nonché alla fase di inasprimento dei vincoli del patto di stabilità, i cui effetti negativi sul piano della spesa hanno peggiorato il quadro di indebitamento delle Regioni (e in particolare degli enti sanitari) più inefficienti”. Infine il rapporto sui bilanci delle Regioni evidenzia che per effetto dei tagli lineari e del sostanziale blocco delle risorse destinate al personale, dovuti al Patto di stabilità, “si sono avuti tagli rilevanti” concludono Cgil e Ires “negli organici delle Regioni e una diminuzione del 19,6% delle risorse per le retribuzioni nel periodo 2009-15, con il conseguente incremento delle spese per consulenze e collaborazioni del 136%”.

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