Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

SANITA’,IL SUD ARRETRA:TRA LE PEGGIORI DUE ASL SICILIANE

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 Quella italiana è una sanità frammentata e a macchia di leopardo, che migliora la sicurezza – sicurezza delle strutture e degli impianti e sicurezza dei pazienti rappresentano un punto di forza del sistema, fermo restando che in questi casi si richiede un rispetto quasi assoluto degli standard – mentre il Sud si conferma fanalino di coda dell’Italia, vittima di inefficienze, della presenza di strutture mediocri, della “missione impossibile” rappresentata dalla cura del dolore. È la fotografia restituita dal VI Rapporto Audit Civico “Il Sistema Sanitario visto dai cittadini. La valutazione civica delle Aziende Sanitarie”, presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Il quadro generale è restituito da Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato: “Curare il dolore al Sud è una missione impossibile. Le liste di attesa sono un’area critica anche se qualcosa si sta muovendo. La burocrazia è il vero ostacolo per i diritti dei malati oncologici e degli affetti da patologie croniche. C’è fatiscenza e trascuratezza su un ospedale su due. Il Sud è fanalino di coda per la sicurezza. I cittadini sono considerati un ingombro, non una risorsa. Manca la certezza dell’attuazione in una situazione frammentata”.

L’Audit è stato fatto su 87 fra Asl e Aziende Ospedaliere: 35 Aziende Ospedaliere, un terzo di quelle italiane, e 52 Asl su 195 totali. In linea generale, prendendo in considerazione gli Indici di Adeguamento agli Standard, emerge l’esistenza di un primo gruppo di fattori da ritenersi buono, rappresentato dalla sicurezza dei pazienti e dalla sicurezza di strutture e impianti; una seconda area discreta, che comprende cura di malattie croniche e oncologia, accesso alle prestazioni, personalizzazione delle cure, prevenzione, gestione del dolore e comfort; una terza aree pessima e mediocre che vede soprattutto la tutela dei diritti, l’informazione e la comunicazione, la partecipazione dei cittadini attraverso l’attuazione e il funzionamento degli istituti di partecipazione e la collaborazione fra cittadini e Asl.

Questo però è il quadro generale. Poi ci sono le diverse voci. La cura del dolore, ad esempio: “Le Aziende peggiori dal punto di vista della gestione del dolore rappresentano circa il 7% del totale delle Aziende analizzate (12 su 82): si collocano soltanto al Centro, dove rappresentano il 23% delle Aziende, e al Sud, dove ben il 40% delle Aziende partecipanti ha riportato un valore pessimo o scadente. Tra le Asl peggiori, due siciliane e una Asl del Lazio”.

Sul fronte sicurezza, ormai tutte le strutture adottano il documento di valutazione dei rischi. Se questo è il settore che registra valutazioni più positive, è anche vero che è quello dove non si possono ammettere eccezioni: “Sono infatti 16 gli ospedali nell’area di mediocrità e uno nella pessima. In queste strutture, che rappresentano il 20% del totale, si concentrano però tutti insieme gli aspetti più critici, come la mancata adozione di alcuni protocolli di aspirazione dei liquidi durante l’intervento chirurgico, in 6 si segnala la mancata adozione delle linee guida relative alla prevenzione della ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico”. Qui il Sud va male, perché il 70% delle aziende del Nord e la metà di quelle del Centro si trovano nell’area dell’eccellenza mentre quelle mediocri riguardano solo il Sud.

Altro elemento critico è la burocrazia, soprattutto per i malati oncologici e i cittadini con patologie croniche: il 23% delle Aziende si posiziona su un livello critico o scadente; situazione critica al Sud dove sono il 66%, mentre solo il 33% raggiunge un livello discreto. Ancora: segni di fatiscenza sono presenti in oltre la metà degli ospedali visitati, anche se il comfort risulta in miglioramento. Per quanto riguarda il capitolo liste di attesa, nella maggioranza delle strutture osservate vengono rispettati i limiti stabiliti dalle norme in vigore nel momento della rilevazione, con il corollario che i cittadini devono spesso viaggiare nel territorio per trovare la sede di esami e visite. Il che non significa che il problema non sia presente: per una visita specialistica neurologica invece di 30 giorni in 12 Asl servono 90 giorni, e tanti altri sono gli esempi in cui i tempi di attesa “sforano”.

La presentazione dell’Audit ha rappresentato anche l’occasione per un seminario sul valore della partecipazione dei cittadini. La stessa stesura definitiva del rapporto, ha sottolineato in apertura di lavoro il segretario generale di Cittadinanzattiva Teresa Petrangolini, sarà fatta in seguito per farvi confluire il dialogo scaturito dal seminario con esperti del settore. Che hanno sottolineato il valore della partecipazione dei cittadini alla valutazione ma anche la necessità che tale valutazione trovi un esito concreto, così come il bisogno di diffondere la conoscenza delle buone pratiche esistenti a livello territoriale. Per Fulvio Moirano, direttore generale di Age.Na.S., l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, “siamo pronti per avere in Italia un sistema di valutazione complessivo degno della nostra importanza. La valutazione dei tempi di attesa, però, è meglio la facciano i cittadini”. Pietro Grasso, direttore generale della Asl Roma E, ha sottolineato come i meccanismi dell’Audit civico mettano a nudo il sistema, creino una maggiore trasparenza e dunque abbiano bisogno di una maggiore capacità di informare i cittadini, al momento ancora carente. “Nelle Regioni orientata dai piani di rientro – ha detto – l’Audit può essere una forma di garanzia dell’equità di accesso al sistema”. C’è poi il tema della diffusione delle buone pratiche e la diversità delle prestazioni sanitarie sul territorio: “Come si esce dall’ospedale – ha evidenziato Giorgio Banchieri, dell’Università La Sapienza – comincia la terra di nessuno. Mentre rispetto all’ospedale c’è stata una maggiore capacità di migliorare, nei servizi territoriali siamo agli albori”: bisogna dunque creare forme di pressione dell’opinione pubblica e “diffondere buone pratiche”, specialmente in un contesto dove la sanità si pone appunto “a macchia di leopardo”.

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