Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Fnomceo celebra i 40 anni del Ssn. E Filippo Anelli avverte: “Mai dare per scontato il diritto alla salute” 

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A distanza di quarant’anni, le disuguaglianze in sanità non sono scomparse. Il finanziamento del Ssn è insufficiente ad invertire la rotta e urge, serve una modifica dei criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale e delle regole che disciplinano la mobilità sanitaria.

 

La professione medica rappresenta un punto di riferimento quale garante della dignità della persona e del diritto alla salute. Questi i temi toccati dal presidente della Fnomceo in occasione della celebrazione del quarantennale del Ssn oggi a Roma

(Quotidianosanitá) – “Mai dare per scontato il diritto alla salute, non lo è affatto. Era considerato una “concessione” da parte dello Stato nei regimi totalitari, un “dovere” sociale nei confronti dei cittadini nelle prime Costituzioni liberali.

 

Nella nostra Costituzione, invece assume il rango di un ‘diritto’ ossia una prerogativa irrinunciabile della persona. Ma a distanza di quarant’anni, le disuguaglianze in sanità non sono scomparse e affondano le proprie radici nell’organizzazione del sistema, nel suo finanziamento, in risvolti di carattere socio-economico e culturale e altro ancora.
Di fronte a questi scenari la professione medica rappresenta un punto di riferimento quale garante della dignità della persona e del diritto alla salute al di là di ogni logica mercantile e rappresenta un contributo decisivo al progresso scientifico, culturale e democratico della nostra società”.

Così il Presidente dei medici italiani Filippo Anelli in occasione della celebrazione dei 40 anni del Ssn “La conquista di un diritto, un impegno per il futuro” che ha visto radunati oggi all’Hotel Plaza a Roma, autorità civili, religiose e militari, istituzioni e rappresentanti del mondo medico e scientifico e delle professioni sanitarie. Una kermesse nel corso della quale sono stati presentati i risultati di una ricerca Censisquale emerge con forza quanto il medico sia il garante non solo dell’interesse del paziente, ma anche del Servizio sanitario. Per la maggioranza degli italiani tetti di spesa, linee guida e protocolli sono utili, ma al medico deve essere lasciata la libertà di decidere perché il rapporto è basato sulla fiducia. E i cittadini si fidano della classe medica.

Per il presidente dei medici italiani serve un’inversione di tendenza. Anche perché l’attuale finanziamento del Ssn è insufficiente ad invertire la rotta per migliorare il livello di assistenza. Così come urge una modifica dei criteri di ripartizione del fondo sanitario nazionale e delle regole che disciplinano la mobilità sanitaria dei cittadini all’interno del Paese, per ridurre il gap tra le Regioni in termini di salute e benessere della popolazione. Ma preoccupano anche le proposte politiche che vedono un aumento dei livelli di autonomia delle regioni in tema di sanita e la carenza di medici. Oltre alle logiche economicistiche e di mercato che prevalgono sulla garanzia del diritto alla salute. Per questo invita il Governo deve porre al centro dell’agenda politica il tema delle disuguaglianze e sollecitare le regioni al rispetto dell’art. 2 della Costituzione che ricorda alle istituzioni i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” su cui deve fondarsi la vita del paese.

Nella lunga e dettagliata relazione Filippo Anelli ripercorre la storia del Ssn dal 1978, quando l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini promulgò la Legge 833 che lo istituiva, ad oggi. Una Legge voluta per per tutelare il diritto alla salute, così come previsto dall’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale”.

Ricorda la legge 180, la cosiddetta legge Basaglia, nata sempre nel 1978“un’altra norma di grande civiltà e di tutela dei diritti della persona” e cita Tina Anselmi che 25 anni dopo l’istituzione della 833 riportava alla ribalta la necessità di “tutelare sempre i diritti della persona, là dove ci sono situazioni che questa tutela possono rendere difficile”. Una tutela dell’individuo e della sua salute, aggiunge Anelli, che ha visto allargare il suo raggio d’azione con l’approvazione della legge n.409 del 24 luglio 1985 che ha istituito la professione sanitaria dell’odontoiatra.
“L’approvazione della Legge 833 – ha detto il Presidente Fnomceo – rappresenta, quindi, un momento importante della storia repubblicana nel compimento di quel disegno voluto dei Padri Costituenti che considerava la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, tra cui figurano diritti etico-sociali come il diritto alla salute, come il fine stesso della nostra Democrazia”.

Ma, ammonisce Anelli, non bisogna dare nulla per scontato.“Noi oggi diamo erroneamente per scontato il diritto alla salute, che invece non è affatto scontato – ha detto – noi oggi diamo erroneamente per scontato il diritto alla salute, che invece non è affatto scontato: nei regimi totalitari è considerato una ‘concessione’ da parte dello Stato. Nelle prime Costituzioni liberali, la salute è concepita come un ‘dovere’ sociale nei confronti dei cittadini. Nella nostra Costituzione, invece la salute assume il rango di un ‘diritto’ ossia una prerogativa irrinunciabile della persona di cui il cittadino non può essere privato, ossia un diritto inviolabile”.

Purtroppo, a distanza di quarant’anni, le disuguaglianze in sanità non sono scomparse.Basta dare uno sguardo ai dati, sottolinea Anelli, per rendersi conto di come l’uguaglianza teorica di accesso ai servizi del Ssn non si cali nella realtà: “Le diseguaglianze hanno assunto altre forme e affondano le proprie radici nell’organizzazione del sistema, nel suo finanziamento, in risvolti di carattere socio-economico e culturale, oltre che in fattori legati all’individuo quali l’età, il sesso, il genere, il patrimonio genetico. In Europa – prosegue – il nostro Paese si colloca nella parte bassa della classifica per livello di finanziamento del proprio Ssn. L’Italia risulta inoltre all’ultimo posto per le spese sulla prevenzione nell’ambito dei 34 Paesi dell’Ocse. Negli ultimi anni abbiamo infatti assistito a un costante de-finanziamento che non può che aggravare le disuguaglianze, anche in conseguenza di una dissennata politica di tagli lineari e di riduzione del personale sanitario.

A questo, rimarca Anelli, si aggiunge il fatto che, i criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale seguono dinamiche che finiscono per penalizzare le Regioni con un basso livello di ricchezza ed in particolare quelle del meridione d’Italia. “Gli indicatori di salute forniscono una fotografia drammatica delle condizioni del Sud del Paese – aggiunge – dove l’aspettativa di vita è inferiore di 3 punti rispetto al Nord. Una differenza che si riscontra anche all’interno delle stesse città, tra centro e periferia, oppure viene accentuata dal basso livello di istruzione. I laureati hanno una aspettativa di vita migliore rispetto a coloro che hanno un titolo di studio inferiore. Il livello di malattie croniche, poi, cresce in maniera diretta con il livello di povertà.

Serve allora un’inversione di tendenza. L’attuale finanziamento del Ssn appare infatti insufficiente ad invertire la rotta per migliorare il livello di assistenzasoprattutto nelle aree più depresse del Paese. Così come urge una modifica dei criteri di ripartizione del fondo sanitario nazionale e delle regole che disciplinano la mobilità sanitaria dei cittadini all’interno del Paese, al fine di consentire alle Regioni più povere di colmare il divario, in termini di salute e benessere della popolazione. “Per queste ragioni mi preoccupano molto le proposte politiche che vedono un aumento dei livelli di autonomia delle regioni in tema di sanità – ha sottolineato – ciò che rischia di accadere è di fatto una redistribuzione sul territorio delle risorse destinate alla Sanità, proprio in Regioni in cui il Ssr è più ricco ed efficiente, con inevitabile impoverimento del sud del Paese, dove già si rileva un sistema in grave crisi. Le maggiori autonomie in ambito sanitario rischiano di creare cittadini sempre più poveri e cittadini cui viene negato il diritto alla salute.

Da qui l’invito del Presidente della Fnomceo al Governo a porre al centro dell’agenda politica il tema delle disuguaglianzee a sollecitare le regioni al rispetto dell’art. 2 della Costituzione che ricorda alle istituzioni i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” su cui deve fondarsi la vita del paese. “Le autonomie locali – ha detto – devono essere uno strumento che facilita l’erogazione dell’assistenza e non un grimaldello per far saltare il carattere universale, egualitario ed equo del nostro sistema sanitario, una delle grandi conquiste di civiltà del nostro Paese. L’autonomia locale deve diventare autonomia solidale e deve porsi obiettivi di salute, considerando il contenimento della spesa sanitaria come vincolo e non come fine.

Un altro fronte di preoccupazione è quello legato alla carenza di medici. “Se tra dieci anni 33mila medici di famiglia andranno in pensione, e solo 11mila nuovi professionisti arriveranno a sostituirli, ci saranno 22mila medici di famiglia in meno – ricorda il presidente della Fnomceo – e, a farne le spese, saranno 14 milioni di persone, che si troveranno senza medico di base oppure con un’assistenza sanitaria insufficiente. Non va meglio per i medici del Ssn: nei prossimi dieci anni ne verranno a mancare per pensionamento oltre 47mila. La mancanza di medici che si è venuta a determinare nel nostro Ssn deriva dall’aver sottostimato il numero di medici specialisti e di medici di medicina generale necessari. Si è determinato così un numero di medici laureati superiore al numero di borse di specializzazione/medicina generale disponibili e finanziate”.

A fronte di ciò ogni anno sono circa 2mila i medici laureati che non hanno potuto portare a termine il proprio percorso formativo. Una condizione che interessa circa 15mila giovani medici laureati negli ultimi dieci anni, fermi in un “limbo” dal quale è sempre più difficile uscire, vittime di una procedura che rende vani gli sforzi e i sacrifici dei giovani e delle rispettive famiglie. “Si dia allora la possibilità a tutti i medici laureati, vittime di questo meccanismo, di accedere alle borse di specializzazione e medicina generale e di completare il loro percorso formativo, colmando così le attuali carenze di medici specialisti del Ssn – ha aggiunto – si stabilisca inoltre, una volta per tutte, che il percorso formativo per diventare medici specialisti è uno, composto dal corso di laurea seguito da quello della specializzazione o medicina generale. Agli studenti che intendono affrontare la prova di accesso a medicina sia consentito infine di formarsi, frequentando i corsi di preparazione istituiti presso le scuole medie superiori, su un programma di studi ben definito”.

Anelli ha poi toccato il tema della sostenibilità. “Il definanziamento del Ssn ha avuto pesanti ricadute anche sulla Professione medica – ha sottolineato – forzando l’introduzione di obiettivi economici nella pratica clinica quotidiana, che hanno condizionato in maniera rilevante l’agire medico. La garanzia del diritto alla salute non può però essere affidata solo a criteri di utilità economica e dinamiche di mercato, perché deve invece fondarsi su ‘dignità e libertà’, i due princìpi cardine del Ssn che regolano il rapporto tra il cittadino e le professioni sanitarie. Di fronte al prevalere nella nostra società della logica del profitto, la professione medica rappresenta infatti un punto di riferimento quale garante della dignità della persona e del diritto alla salute al di là di ogni logica mercantile e rappresenta un contributo decisivo al progresso scientifico, culturale e democratico della nostra società”.

Per questo i medici non possono essere trasformati in tecnici della salute e considerati come un mero fattore produttivo, ma devono continuare ad essere riconosciuti come professionisti del sapere in campo medico. Una “Professione” di conoscenza conquistata dopo un percorso formativo impegnativo e lunghissimo, dai nove agli undici anni di studi, al termine del quale i medici devono essere professionisti liberi, indipendenti, autonomi e responsabili, portatori di una dimensione profondamente umanistica oltre che scientifico-tecnica, che deve essere difesa perché tutela in primis il cittadino”.

Questi principi nel corso dei decenni sono stati messi a dura prova dal processo di aziendalizzazione del Sistema Sanitario avviato negli anni 90 in un’ottica di contenimento della spesa.“L’aziendalizzazione ha generato nel sistema sanitario prevalentemente obiettivi economici – continua Anelli – dimenticando spesso la dimensione umana e la salute come bene comune inalienabile. Se chi governa il sistema risponde solo a scelte orientate prioritariamente verso obiettivi economici, si determina nella pratica quotidiana una frattura con la Professione medica che si sente limitata e condizionata nella propria autonomia. Per i professionisti della salute l’efficacia, cioè il raggiungimento di obiettivi di salute, deve restare invece la finalità prioritaria del servizio sanitario”.

Cambiare l’aziendalizzazione significa quindi modificare gli obiettivi dell’attuale sistema: rimettere in primo piano obiettivi di salute, favorire la partecipazione dei cittadini, mettere i medici nelle condizioni di perseguire tali obiettivi in autonomia e indipendenza e sostenere i politici che intendono finanziare gli obiettivi di salute.

E ribadisce con forza Anelli, gli “operatori, i medici e gli odontoiatri sono coloro che grazie alle proprie competenze garantiscono il diritto alla salute dei cittadini. Un diritto che non appartiene allo Stato, ma al cittadino. Il medico, il medico del cittadino e non dello Stato, diventa così colui che è in grado di tutelare questo diritto. Questa è la rivoluzione che auspico: uno Stato dei Diritti, ove i professionisti, grazie al proprio sapere e alle proprie competenze, calano nella realtà e rendono operativa la Democrazia. In una Sanità intesa come impresa in cui l’erogazione di servizi e prestazioni sanitarie viene equiparata alla produzione delle merci, in maniera particolare per i colleghi odontoiatri, si annida anche la crisi del rapporto fiduciario medico-paziente, con le sue conseguenze più preoccupanti, come il dilagare di fenomeni di violenza e il diffondersi di un’informazione sanitaria non attendibile.

Laddove il paziente è un consumatore, il medico perde automaticamente autorevolezza, diventa detentore di un sapere “da scaffale” e relativo. Si è così minata l’alleanza medico-paziente e creata una evidente frattura nel delicato mondo sanitario, in cui la reciproca fiducia, tra curato e curante, è il cemento che tiene insieme il Servizio Sanitario pubblico. Di qui il ripetersi di aggressioni ai danni dei colleghi su cui viene scaricata la responsabilità e di conseguenza la rabbia dei pazienti e dei loro familiari per ogni vero o presunto malfunzionamento del sistema. Abbiamo chiesto che il reato delle aggressioni contro gli operatori sanitari fosse perseguibile d’ufficio, perché il più delle volte il medico aggredito non denuncia, per vergogna, per rassegnazione, ma anche per paura. Oltre a ciò servono soluzioni immediate di tipo strutturale, come la ricollocazione di tutte le guardie mediche in ambiente protetto. E serve nel medio lungo periodo un netto cambiamento di rotta a livello culturale per ricostruire il patto di fiducia tra medici e cittadini, che è imprescindibile per l’alleanza terapeutica.

Le conclusioni. “Vorrei chiudere questo mio intervento parlando di futuro e di speranza, due parole importantissime per il nostro Paese in questo momento storico – ha aggiunto – futuro e speranza vogliono dire ricerca, non solo per il mondo della medicina e della scienza, ma per tutta la società.  Una ricerca che oggi si configura sempre più, in ogni campo, come processo collaborativo e partecipato, che investe tutta la società e rappresenta l’investimento più vantaggioso per un Paese, perché è un moltiplicatore di ricchezza economica, culturale e sociale. La componente pubblica ha una grande responsabilità che deve assolvere con lungimiranza, pensando alle prospettive di domani e alla sostenibilità dello sviluppo, rifuggendo da calcoli di opportunità e convenienze di corto respiro. La ricerca è una porta che apre il futuro e che si affianca benissimo alla parola ‘solidarietà’. Ricerca e solidarietà insieme esprimono un alto potenziale di forza culturale e morale, che può aiutare l’Italia di oggi a sentirsi più sicura, più solidale, più fiduciosa nel domani

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