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Coronavirus “choc epocale”: in Italia a rischio 1 milione di imprese

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Focus Confcooperative-Censis sull’impatto della crisi: si perderanno 219 miliardi di fatturato, circa la metà nel Nord del Paese. «Urgente garantire liquidità, ma anche saldare 54 miliardi di arretrati della Pa».

 

«Oltre a interventi immediati sul fronte della liquidità occorre che lo Stato saldi tutti i debiti della Pubblica amministrazione, perché altrimenti quando sarà passata l’emergenza rischiamo di perdere quasi un’impresa su cinque (un milione in tutto) con conseguenze indescrivibili in termini di fatturato, occupazione e tenuta sociale del Paese». E’ l’allarme che lancia Confcooperative, che assieme al Censis presenta un nuovo focus dedicato allo «choc epocale» che stiamo affrontando e al suo impatto su imprese e lavoro. «L’economia italiana inchioda e occorreranno due anni prima di poter ritornare ai livelli di Pil e di crescita stimata fino allo scorso gennaio. In condizioni di urgenza straordinaria il sistema necessita di misure straordinarie, coraggiose e soprattutto veloci che consentano di non spegnere i motori, altrimenti rischiamo, quando sarà passata l’emergenza, di lasciare sul tappeto 1 milione di imprese», spiega il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini.

L’effetto del lockdown
La dimensione economica del «lockdown», da quanto emerge dal focus Censis-Confcooperative, è pari a 1.321 miliardi di euro, che corrisponde al 42,4% del totale del fatturato dell’industria e dei servizi che complessivamente supera i 3.111 miliardi di euro. I provvedimenti di sospensione hanno avuto una maggiore incidenza, in termini di addetti, nel comparto dell’industria in senso stretto (con il 62,2% degli addetti dipendenti e indipendenti sospesi, su un totale di 3 milioni e 987mila) e a seguire le costruzioni (58,6% dei sospesi su 1,3 milioni di addetti) e, infine, nei servizi (35,8% su 11,4 milioni di addetti).

Il quadro generale della «lockdown economy», è scritto nella ricerca, porta ad assumere come riferimento un motore produttivo che lavora a circa il 60% del proprio potenziale e che innesca una catena degli effetti dirompente in termini di reddito, di domanda interna, di sostenibilità economica, in cui il fattore tempo – la durata dello stato di sospensione – diventa la variabile fondamentale per capire le conseguenze su un sistema economico e sociale sottoposto a uno «stress test» che nessuna recessione nel passato aveva mai fatto sperimentare. Il «congelamento» delle attività ha, di conseguenza, prodotto un impatto che, in termini di fatturato, ha riguardato 660 miliardi di euro nell’ambito dei servizi e 91 miliardi nelle costruzioni, mentre per le imprese dell’industria in senso stretto la restrizione ha avuto effetto su 570 miliardi di euro.

Partendo da una base di fatturato delle imprese nel 2019 pari a 2.411 miliardi di euro e riferito a 200 sotto settori economici, il valore atteso al netto dello shock prodotto dal Covid-19 sarebbe stato nel 2020 pari a 2.502 miliardi di euro, ma in realtà, proprio a causa dello shock, il volume di fatturato si fermerebbe a 2.233 miliardi, con una differenza negativa pari a 219 miliardi di euro. Buona parte di questa riduzione – circa la metà – sarebbe subita dall’area del Nord Ovest (87,5 miliardi) e dal Nord Est (48,5 miliardi).

Le prospettive per il 2021
Il «rimbalzo» atteso nel 2021 porterebbe a un non completo recupero del fatturato perduto. Dai 2.233 miliardi di euro del 2020 si potrebbe passare a 2.448 miliardi che, in ogni caso, rappresenterebbero una differenza negativa rispetto alla cifra prevista in assenza di shock nel 2021 pari a 54 miliardi. In totale, lo scenario imputerebbe allo choc Covid-19 una mancata produzione di valore da parte delle imprese superiore ai 270 miliardi.

«Nonostante tutto – conclude Gardini – va visto il bicchiere mezzo pieno, perché le giuste misure di contenimento del coronavirus non hanno bloccato l’intera economia. Poco più della metà delle imprese e dei suoi lavoratori non si sono fermati. In qualche modo la fase 2 parte da qui, ma va alimentata con coraggio e decisione. Vanno tenuti accesi i motori del sistema imprenditoriale per consentire la ripartenza appena sarà possibile e cercare il rimbalzo necessario per il nostro Pil».

Lo scandalo degli arretrati della Pa

Posta l’emergenza sanitaria, secondo Confcooperative, ci sono due fronti su cui lavorare, quello europeo (indispensabile l’emissione di bond europei che non pesino sul debito dei singoli paesi) e quello italiano, dove il tema prioritario è il credito. «Occorrono meccanismi che garantiscano liquidità immediata a tutte le imprese che, dalle più piccole alle più grandi, sono in difficoltà – sollecita la confederazione -. Per l’export, a esempio, è a rischio un valore di 280 miliardi pari al 65,8% del valore complessivo. Ecco perché le misure del governo devono consentire alle banche di essere immediatamente operative con istruttorie con tempi record, degne dei periodi di emergenza, superando il cronico problema della burocrazia che rallenta ogni processo. E a proposito di liquidità, vanno saldati tutti i debiti della Pa. Siamo maglia nera in Europa, è il minimo che si possa fare: 53 miliardi dovuti dallo Stato alle imprese, che non possono continuare a fare da cassa allo stato e agli enti locali. Solo le cooperative sociali e quelle di produzione lavoro e servizi hanno crediti per circa 2 miliardi». E a questo proposito Gardini, infine, ricorda anche che «in questa fase c’è da evidenziare il ruolo della cooperazione che dal sociale alla produzione lavoro ai servizi, dall’agroalimentare alla distribuzione, sta dando un contributo fondamentale alla tenuta del fronte. Senza le cooperative avremmo avuto condizioni di maggiore criticità nei servizi alle persone e alle comunità».

Fonte:La Stampa

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